
Ascoltare poc’oltre il Duemila
quegli ultimi dischi con la data;
poi tutti a scaricare il modo
senza doversi mettere in fila
alle casse d’una vita stimata
in diritti da sfruttare a fondo.
Ormai sembra frutto di confusione
la musica frusciante e novizia,
tenuta per poco e sovrascritta
entro alcuni quarti di stagione
come marmellata non più propizia
fino all’usura della cassetta.
L’accesso digitale al passato
matura la memoria ed il gusto,
per una percezione più sicura
di quanto poss’apparire stonato,
banale, commerciale, fuori posto
nel canto, nel testo, nella struttura.
Ripuliti dai salti del vinile,
accorciate e sfumate le code,
tolte le battute sovrabbondanti,
molti brani acquistano lo stile
di qualcosa che supera le mode
o i successi non sempre costanti,
rivelando che non importa l’età,
se c’era un contenuto sincero
con un impegno nell’esecuzione,
perché una presunta modernità
non produce un valore intero,
limitandosi a un’impressione.
Un incremento della conoscenza
innesca un processo culturale
di indubbia valenza selettiva,
ma anche un afflato di coscienza
su come sembri ormai naturale
cliccare sull’icone che si_apriva
per spaziare tra generi diversi,
consumando le voci dei cantanti
come patatine da un sacchetto
che la fame svuota al sovrapporsi
di suoni e melodie ridondanti
tra sintetizzatore ed archetto.
prof. Simon Carù
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